La massima la Sentenza della Cassazione n. 27353 del 26 settembre 2023
La valutazione del giudice in punto di proporzionalità della sanzione disciplinare, nel caso in cui al lavoratore sia contestata la sottrazione di beni della datrice di lavoro, non può esaurirsi nella constatazione della tenuità del valore del bene sottratto, ma deve riguardare l’incidenza della condotta a ledere gravemente il vincolo fiduciario avuto riguardo anche alla tipologia delle mansioni affidate e ad eventuali precedenti disciplinari aventi ad oggetto condotte analoghe.
La recente pronuncia della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 27353 del 26 settembre 2023, si inserisce in un contesto giurisprudenziale di particolare rilievo per il diritto del lavoro, soprattutto in relazione alla valutazione della proporzionalità delle sanzioni disciplinari rispetto alle condotte dei lavoratori.
Il fatto
Un lavoratore dipendente con mansioni di magazziniere addetto alla cella frigorifera impugnava il licenziamento comunicatogli dalla datrice di lavoro in esito a procedimento disciplinare con cui gli era stato contestata l’indebita appropriazione di beni aziendali di valore non rilevante: una forma di caciotta da 2 kg e di un trancio di prosciutto da 500 g.
Il Tribunale di Taranto
In primo grado, il Tribunale di Taranto accoglieva parzialmente l’impugnazione, applicando la tutela risarcitoria di cui all’art. 18, comma 5 Stat. Lav. pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto, ma negando la tutela reale.
La corte di Appello di Lecce
La Corte d’Appello di Lecce, rigettava entrambi i reclami in appello (rito “Fornero”), confermando le conclusioni del Giudice di primo grado secondo cui la condotta contestata al lavoratore era passibile di licenziamento ai sensi dell’art. 229 del CCNL, ma anche le argomentazioni in merito alla non proporzionalità della sanzione, in considerazione del valore esiguo dei beni in questione, delle mansioni affidate al lavoratore e dell’assenza di precedenti disciplinari.
Il Giudizio in Cassazione
Si tratta di valutare se e in che misura la sottrazione di beni aziendali di modico valore da parte di un dipendente influisca sull’intensità del suo comportamento e sulla proporzionalità della sanzione di licenziamento. L’obiettivo è identificare la tutela applicabile in base a questa circostanza.
La soluzione giuridica
La Corte ha avuto modo di esprimersi in merito alla valutazione di non proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto al fatto contestato ed accertato. La questione centrale trattata dalla sentenza riguarda l’adeguatezza della sanzione adottata dall’azienda nei confronti del lavoratore e la necessità che vi sia un equilibrio tra la gravità della condotta e la punizione inflitta.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, sottolineando che il giudice di secondo grado non si era limitato a motivare la sua decisione basandosi solo sul valore della merce asportata dal lavoratore.
Il giudice aveva anche preso in considerazione il fatto che, durante l’istruttoria testimoniale, non erano emersi precedenti disciplinari o contestazioni per episodi simili accaduti in passato. Inoltre, il giudice aveva considerato le dimensioni dell’impresa, che escludevano la possibilità di una violazione di un rapporto personale di fiducia con il datore di lavoro.
Il lavoratore in questione non era addetto alla sicurezza del punto vendita, ma svolgeva il ruolo di magazziniere nella cella frigorifera. I suoi compiti consistevano principalmente nella verifica dello stato della merce e si limitavano ad attività di operaio semplice, che non richiedevano particolare affidabilità o un rapporto di fiducia speciale con il datore di lavoro.
Secondo la Corte, se viene accertata una sproporzione tra la sanzione applicata e la condotta contestata, si deve provvedere alla tutela risarcitoria se la condotta stessa non rientra in nessuna delle situazioni in cui i contratti collettivi o i codici disciplinari prevedono l’imposizione di una sanzione conservativa.
Invece, se il fatto contestato e accertato è contemplato da una norma negoziale vincolante e viene classificato come punibile con una sanzione conservativa, si deve provvedere alla tutela reintegratoria.
La Cassazione ha chiarito che, in presenza di una sproporzione accertata tra la sanzione applicata e la condotta contestata, deve essere disposta una tutela risarcitoria a favore del lavoratore, a meno che la condotta non rientri in alcuna delle fattispecie per cui i contratti collettivi o i codici disciplinari prevedano l’irrogazione di una sanzione conservativa.
Osservazioni
L’interpretazione della diversa modulazione delle conseguenze dell’articolo 18, commi 4 e 5 dello Statuto dei Lavoratori in caso di licenziamento disciplinare sproporzionato, come stabilito dalla Corte nella sentenza in commento, è in linea con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità.
La Corte di Cassazione applica la tutela obbligatoria forte (ex art. 18, comma 5 Stat. Lav.) quando c’è una sproporzione tra l’infrazione commessa e la sanzione prevista. Questo avviene quando la condotta contestata e accertata non è contemplata tra le situazioni in cui i contratti collettivi o i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa.
Per quanto riguarda la rilevanza del valore del bene sottratto ai fini della valutazione della legittimità del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il principio espresso dalla Corte nella decisione in commento afferma che il valore modesto del bene non è di per sé determinante.
Tuttavia, è necessario valutare attentamente se il comportamento tenuto, per la sua gravità, possa minare la fiducia del datore di lavoro.
Il contrasto giurisprudenziale
Questo principio teorico può essere applicato in modi diversi a seconda delle specifiche circostanze del caso concreto.
Così, è stato ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente di un supermercato.
Il dipendente è stato sorpreso dalla vigilanza aziendale con confezioni di gomme e caramelle in tasca, del valore di circa 10 euro. Nonostante il valore commerciale insignificante della merce rubata, il comportamento del dipendente è stato considerato idoneo a violare irrimediabilmente il rapporto di fiducia e a mettere in dubbio la sua futura correttezza nell’adempimento dei suoi doveri
La Suprema Corte ha concluso che è stato giusto licenziare un dipendente dopo che sono stati trovati due pennelli di proprietà aziendale nel suo zaino.
Nel caso di prelievo, durante il turno di lavoro, il lavoratore utilizza un carrello per prelevare 20 litri di gasolio dal valore di 25-30 euro.
Nel caso di furto di due DVD dal valore di 30,80 euro o di una busta di salumi da parte di dipendenti di negozi al dettaglio.
Nel caso della cassiera di un supermercato, è emerso che aveva accumulato punti sulla sua carta fedeltà per un valore di 50 euro, grazie agli acquisti effettuati dai clienti.
nel caso di appropriazione seriale di risorse pubbliche che costituisce una violazione del vincolo fiduciario, è ritenuto irrilevante considerare circostanze come la mancanza di precedenti disciplinari o l’esistenza di gravi patologie che non possono giustificare l’illiceità disciplinare.
La condotta di occultamento e la restituzione delle somme sono fattori che vengono presi in considerazione.
Il licenziamento del dipendente che si era appropriato di 240 buste di plastica di modico valore è stato considerato illegittimo per via della sua sproporzione.
Questa decisione è stata presa in quanto il lavoratore non aveva ricevuto precedenti contestazioni né sanzioni disciplinari e perché l’appropriazione riguardava merce di valore esiguo. Questo caso è stato trattato nella sentenza
La Corte Suprema ha stabilito che il licenziamento del cassiere del supermarket, che aveva consumato uno snack senza pagarlo, può essere giustificato solo se ci sono circostanze aggiuntive che minano la fiducia del datore di lavoro.
Ancora, è considerato illegittimo il licenziamento del dipendente del supermercato che ha prelevato alcune bottiglie di birra, del cous cous e un prodotto da forno, e li ha consumati sul posto, violando il divieto di “consumare generi alimentari o bevande alcoliche” come stabilito dalle norme disciplinari affisse in bacheca.
Un dipendente che ha prelevato delle merendine da un distributore senza pagarle, come confermato dalla sentenza della Corte di Cassazione numero.
Un dipendente colpevole di non aver pagato in cassa una merce di scarso valore, senza l’intenzione di commettere un reato e senza fornire la prova dell’intenzionalità del suo comportamento.
In tutti gli ultimi casi, la giurisprudenza di legittimità ha analizzato l’autonomia e la diversità dei requisiti e delle caratteristiche della valutazione penale e disciplinare della stessa condotta.
Di recente, ad esempio, la Cassazione ha posto maggiore attenzione su alcune circostanze soggettive (come il ruolo e le mansioni del lavoratore) o oggettive (come la presenza di precedenti disciplinari) al fine di valutare l’importanza della condotta in relazione al vincolo fiduciario.
Ciò ha portato a escludere la configurazione di una giusta causa di recesso in base alle modalità concrete della condotta contestata.
La sentenza si pone dunque come un punto di riferimento importante per i giudici che sono chiamati a valutare casi di contestazioni disciplinari, ribadendo l’esigenza che ogni sanzione debba essere commisurata alla gravità della condotta e alle circostanze specifiche di ogni singolo caso.