È illegittimo, per illecita acquisizione datoriale, in quanto posta in essere in violazione di prerogative di rango costituzionale, il licenziamento per giusta causa irrogato ad un lavoratore ritenuto responsabile di aver espresso, all’interno di un gruppo whatsapp formato tra colleghi, contenuti offensivi nei confronti del datore di lavoro.
Analisi del Caso di esaminato dal Tribunale di Prato
Contesto del Caso
Il Tribunale di Prato ha accolto l’impugnativa del licenziamento irrogato per giusta causa a L.R. da I. S.r.l., ordinando la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condannando la società al pagamento delle indennità risarcitorie previste dall’art. 18, 4 comma, dello Statuto dei Lavoratori.
Il Procedimento Disciplinare
Il Tribunale ha ritenuto corretto il procedimento disciplinare azionato dalla società in base all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.
Tuttavia, ha stabilito che l’espressione di contenuti offensivi nei confronti della società all’interno di un gruppo WhatsApp tra colleghi, in assenza di elementi che ne escludessero la natura di conversazione privata, non costituisce una violazione dei doveri di buona fede e correttezza nello svolgimento del rapporto di lavoro.
L’Opposizione di I. S.r.l.
I. S.r.l. ha promosso un giudizio di opposizione, contestando la decisione del Tribunale sia in astratto (citando giurisprudenza che afferma la sussistenza del reato di diffamazione in casi simili) sia adducendo nuove circostanze di fatto (come una presunta condotta attiva del lavoratore che avrebbe mostrato la chat ad altri lavoratori estranei al gruppo).
La Difesa del Lavoratore
Il sig. R. ha chiesto il rigetto dell’opposizione, ribadendo la sua posizione sulla inutilizzabilità delle conversazioni private per fini disciplinari e criticando la reazione della società rispetto ad altri partecipanti della chat.
Analisi del caso esaminato dal Tribunale di Firenze
Un dipendente è stato licenziato a seguito di un procedimento disciplinare per aver inviato messaggi vocali offensivi, denigratori e razzisti riguardanti il suo superiore gerarchico su una chat di lavoro chiamata “Amici di lavoro”.
Il dipendente ha presentato ricorso al Tribunale di Firenze, che ha annullato il licenziamento e condannato l’impresa a reintegrare il dipendente nel suo posto di lavoro.
Inoltre, l’impresa è stata condannata a pagare un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione del dipendente e a versare i relativi contributi previdenziali e assistenziali dal momento del licenziamento fino alla data effettiva della reintegrazione.
Il dipendente non ha negato di essere l’autore dei messaggi vocali, ma ha sostenuto che essi erano stati registrati in una chat privata, le cui comunicazioni erano comprese nell’ambito di tutela dell’art. 15 della Costituzione.
Il Tribunale ha ritenuto che i messaggi vocali fossero stati inviati in una chat di lavoro, nonostante il nome “Amici di lavoro”, e quindi non erano da considerarsi privati.
Inoltre, il Tribunale ha stabilito che i messaggi vocali erano offensivi e denigratori nei confronti del superiore gerarchico del dipendente, il che costituiva una violazione degli obblighi contrattuali del lavoratore.
Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto che il licenziamento fosse eccessivo rispetto alla gravità dell’infrazione commessa dal dipendente.
Pertanto, il Tribunale ha deciso di annullare il licenziamento e di condannare l’impresa a reintegrare il dipendente nel suo posto di lavoro e a pagare l’indennità risarcitoria.
Analisi delle decisioni dei Tribunali
Contenuto dei Messaggi e Garanzie Costituzionali
Il Tribunale ha ribadito che, nonostante alcuni messaggi avessero un contenuto denigratorio e offensivo, la condotta del ricorrente era protetta da garanzie costituzionali.
Questo esclude la possibilità per il datore di lavoro di acquisire il contenuto dei messaggi e di utilizzarlo come base per una contestazione disciplinare.
La Sentenza della Corte di Cassazione
Il Tribunale ha citato la sentenza n. 21965/2018 della Corte di Cassazione, che stabilisce che i messaggi offensivi scambiati in una “chat” privata non costituiscono giusta causa di licenziamento.
Questi messaggi, essendo diretti solo agli iscritti a un gruppo specifico e non a un pubblico indistinto, sono considerati come corrispondenza privata, chiusa e inviolabile.
La Protezione della Corrispondenza Privata
L’invio di un messaggio su una chat di gruppo è considerato una forma di comunicazione privata, paragonabile alla corrispondenza privata tutelata dall’articolo 15 della Costituzione. Questo articolo protegge “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione”. Questa protezione si estende anche ai messaggi inviati tramite servizi di messaggistica istantanea come WhatsApp.
L’articolo 15 della Costituzione italiana sancisce l’inviolabilità della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, a meno che non vi sia un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria che ne limiti la segretezza.
I messaggi inviati ad una chat di WhatsApp possono essere conosciuti solo dai partecipanti.
La Differenza tra Social Media e Messaggistica Privata
Il Tribunale ha sottolineato la differenza tra i messaggi diffusi attraverso strumenti che possono raggiungere un numero indeterminato di persone (come Facebook) e quelli inviati tramite strumenti ad accesso limitato come WhatsApp.
Quando i messaggi possono raggiungere un numero indeterminato di persone (ad esempio, una bacheca Facebook), la Corte di Cassazione ha ritenuto la natura diffamatoria delle affermazioni dispregiative nei confronti dell’azienda datrice di lavoro.
Quando i messaggi sono inviati a una chat privata con accesso limitato, la Corte di Cassazione ha escluso la sussistenza di giusta causa per il licenziamento, poiché le comunicazioni erano destinate esclusivamente ai partecipanti e non potevano essere divulgate all’esterno. Questo accade quando l’applicativo utilizzato è di natura privata e non ha l’attitudine a determinare la circolazione dei messaggi tra un gruppo indeterminato di persone.
Il Contesto delle Dichiarazioni
Il Tribunale ha fatto riferimento alla sentenza n. 11665 del 2022 della Corte di Cassazione, che sottolinea l’importanza del contesto in cui le dichiarazioni sono fatte. Non costituisce violazione dei doveri di correttezza e buona fede l’espressione di giudizi e valutazioni in una conversazione privata, a meno che non sia dimostrato che queste dichiarazioni fossero intese per una ulteriore diffusione.
Il codice etico aziendale
Il codice etico aziendale impegna il datore di lavoro ad intervenire solo in caso di condotte moleste o discriminatorie che siano pubblicamente diffuse. Senza la pubblica diffusività delle condotte, anche le frasi offensive non possono causare una lesione degli interessi oggetto di tutela.
Considerazioni Finali
Le sentenze in esame richiamano l’attenzione sulla delicatezza dell’utilizzo della tecnologia e delle comunicazioni elettronica, confermando l’importanza per le imprese di organizzare momenti di informazione e formazione in materia.
Le sentenze sottolineano come siano del resto estranee alla contestazione, e come tali non valutabili ai fini della legittimità del recesso datoriale, la dedotta sussistenza di comportamenti minacciosi del lavoratore, idonei a evidenziare un concreto ed effettivo pericolo per la sicurezza del collega oggetto delle frasi contestate, e la circostanza che il dipendente abbia inviato taluni messaggi al gruppo whatsapp durante l’orario di lavoro di taluno dei componenti.