Il principio giurisprudenziale
È ormai consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui, nel caso in cui un dipendente rifiuti la trasformazione del proprio contratto di lavoro da part-time a full-time o viceversa, o qualsiasi altra modifica relativa alla distribuzione dell’orario di lavoro, il datore di lavoro può recedere dal contratto solo se il motivo del recesso non è il suddetto rifiuto, ma piuttosto l’esistenza di “esigenze economico-organizzative, per le quali la prestazione oraria precedente non può più essere mantenuta”
Se il licenziamento viene considerato come una ritorsione rispetto al rifiuto del lavoratore di accettare il nuovo orario di lavoro offerto, affinché il licenziamento sia considerato nullo, è necessario dimostrare che l’intento ritorsivo sia stato l’unico e determinante fattore che ha portato al licenziamento.
Lo ha ribadito la Corte di cassazione, con ordinanza 30093 del 30 ottobre 2023, in relazione a una fattispecie in cui una lavoratrice era stata licenziata per giustificato motivo oggettivo a seguito del diniego opposto dalla stessa alla modifica della collazione del proprio orario di lavoro part-time propostole dalla società datrice di lavoro.
Il fatto
Un’impiegata amministrativa di nome M.M.A. è stata licenziata dalla società SE.A.S. Consulting srl, dove lavorava dal 3 aprile 2017.
Il suo contratto prevedeva un orario part-time di 20 ore settimanali.
Nel settembre 2019, la società le aveva proposto di passare a un contratto full-time, ma lei aveva rifiutato e aveva invece formato il neoassunto F.A. per svolgere le sue stesse mansioni a tempo pieno. Successivamente, a causa della soppressione del suo ruolo, è stata licenziata.
Il Tribunale di Milano
La lavoratrice ha impugnato il licenziamento poiché considerato privo di giustificato motivo oggettivo, in quanto l’incremento dell’attività non giustificava la soppressione del suo posto di lavoro con l’assunzione di un altro lavoratore full-time con mansioni simili.
Tuttavia, il Tribunale di Milano ha respinto la sua richiesta, ritenendo valide le ragioni della società per il licenziamento. La Corte di merito ha respinto la sua domanda, affermando che il divieto di licenziamento si applica solo in caso di giustificato motivo soggettivo, mentre in questo caso il licenziamento era dovuto a una riorganizzazione aziendale che rendeva la prestazione della lavoratrice non più utilizzabile, pertanto giustificato. La lavoratrice ha impugnato questa decisione davanti alla Corte di legittimità.
La Corte di Appello
La Corte d’appello di Milano, contrariamente alla decisione del tribunale di primo grado, ha dichiarato il licenziamento nullo e ha ordinato alla SE.A.S. Consulting srl di reintegrare M.M.A. nel suo posto di lavoro e di pagare un’indennità risarcitoria.
La Corte ha stabilito che la società ha utilizzato una riorganizzazione aziendale come pretesto per giustificare l’assunzione a tempo pieno di un nuovo impiegato contabile al posto di M.M.A.
Inoltre, la Corte ha ritenuto che il licenziamento fosse una reazione punitiva al rifiuto di M.M.A. di passare a tempo pieno. Pertanto, la Corte ha fatto riferimento all’articolo 8 del decreto legislativo n. 81/2015, il quale afferma che il rifiuto del lavoratore di modificare il proprio orario di lavoro non costituisce un giustificato motivo di licenziamento.
La Corte d’Appello di Milano aveva ritenuto pretestuosa la prospettazione di una riorganizzazione aziendale attuata mediante l’assunzione full time di un nuovo contabile per fronteggiare l’incremento dell’attività lavorativa, affermando che comunque era rimasta indimostrata l’impossibilità della società di attuare misure diverse dal licenziamento, quali la ripartizione tra le due contabili del pacchetto clienti.
La Cassazione
i motivi del ricorso:
Secondo la società, la Corte ha erroneamente escluso la sussistenza di un giustificato motivo per il licenziamento di M.M.A., affermando che il riassetto organizzativo adottato fosse pretestuoso.
La società contesta il riconoscimento da parte della Corte del licenziamento come ritorsivo, sostenendo che il motivo illecito per tale tipo di licenziamento deve essere “unico e determinante”
la società lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, tra cui la disponibilità di M.M.A. a svolgere qualche ora di lavoro supplementare e l’assunzione di un altro dipendente contabile con contratto part-time al 90%. Secondo la società, se queste circostanze fossero state adeguatamente valutate, avrebbero escluso la conclusione della Corte sulla possibilità di distribuire il carico di lavoro supplementare tra i dipendenti in forza.
La decisione
La Corte ha preliminarmente delineato il perimetro giurisprudenziale del licenziamento per giustificato motivo oggettivo riferito a un lavoratore part-time. La norma fondamentale da considerare è il D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 8, comma 1, secondo il quale “il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento“.
La Corte ha precisato che questa disposizione non esclude la possibilità di recesso per motivo oggettivo in caso di rifiuto del passaggio da part-time a full-time, ma comporta una rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell’onere della prova posto a carico del datore di lavoro.
Per dimostrare un giustificato motivo oggettivo, la Corte ha stabilito che il datore di lavoro deve dimostrare l’esistenza di effettive esigenze economiche ed organizzative
La Suprema Corte ha accolto il ricorso della società, che aveva criticato la sentenza in quanto irrispettosa dei limiti di sindacabilità giudiziale delle decisioni organizzative assunte dall’imprenditore, posto che la Corte di Appello aveva ritenuto pretestuosa e non effettiva la riorganizzazione.
La Suprema Corte ha ritenuto fondati i motivi di ricorso, affermando che il citato art. 8, nella formulazione ratione temporis applicabile, non preclude la facoltà di recesso per motivo oggettivo in caso di rifiuto del nuovo orario di lavoro offerto, ma comporta una rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell’onere della prova a carico del datore di lavoro.
A tal fine, occorre che sussistano o siano dimostrati dal datore di lavoro tre elementi:
le effettive esigenze economiche ed organizzative che non consentono il mantenimento della prestazione con l’orario originario ma solo con quello differente prospettato
l’avvenuta proposta al dipendente di trasformare l’orario di lavoro ed il rifiuto dello stesso
‘esistenza di un nesso causale tra le esigenze di variazione (in aumento o in diminuzione) dell’orario lavorativo ed il licenziamento.
A questo punto, il rifiuto del lavoratore diventa solo una parte di un onere della prova più complesso, che riguarda anche le ragioni economiche che rendono impossibile continuare a utilizzare la prestazione lavorativa.
La Cassazione, nonostante non abbia esaminato esplicitamente l’effettività della causa organizzativa addotta dalla società, ha voluto fare chiarezza sull’equilibrio delicato tra il divieto di licenziamento del lavoratore che rifiuta una variazione oraria protetta dalla legge e la possibilità di licenziamento per ragioni oggettive derivanti da tale rifiuto.
Il licenziamento non deve essere intimato a causa del rifiuto ma a causa dell’impossibilita di utilizzo della prestazione
La Cassazione ha stabilito che la nullità del recesso non può essere dichiarata solo perché il lavoratore ha rifiutato il nuovo orario di lavoro. È necessario che l’intento ritorsivo sia l’unico motivo che ha portato al licenziamento.
La Corte d’Appello ha omesso di considerare che l’altra contabile era assunta part-time al 90%, il che rendeva impossibile per lei evadere l’attività ulteriore per la quale era stato proposto il nuovo orario di lavoro alla ricorrente. La Corte di Appello avrebbe dovuto verificare se il datore di lavoro aveva dimostrato che quella era l’unica soluzione organizzativa possibile per far fronte al nuovo andamento economico dell’azienda, invece di sindacare la scelta imprenditoriale della società di sostituire la dipendente part-time con uno full-time.
In caso di rifiuto del lavoratore di accettare una modifica del contratto di lavoro, la Suprema Corte sottolinea che il datore di lavoro deve dimostrare la sussistenza di esigenze economico-organizzative e il nesso causale tra queste e il licenziamento, invece di considerare il rifiuto stesso come motivo di licenziamento.
Inoltre, il datore di lavoro deve verificare che non ci siano altre soluzioni occupazionali o orarie da offrire al lavoratore prima di procedere con il licenziamento.