L’oblio digitale
In un mondo dove ogni azione online può essere tracciata e archiviata indefinitamente, il diritto all’oblio si pone come un faro di speranza per coloro che cercano di lasciarsi alle spalle il passato.
Questo principio giuridico, che ha trovato riconoscimento in varie giurisdizioni, in particolare nell’Unione Europea, consente agli individui di richiedere la rimozione di informazioni personali dai risultati di ricerca su internet sotto certe condizioni.
In Italia, il diritto all’oblio è definito come un diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata.
Il diritto all’oblio è un concetto giuridico che permette agli individui di richiedere la rimozione di informazioni personali dai risultati di ricerca su internet quando queste sono obsolete o non più rilevanti.
Questo diritto è particolarmente importante nell’era digitale, dove le informazioni possono essere facilmente e permanentemente accessibili, influenzando la reputazione e la privacy delle persone.
Il problema non è più soltanto la ripubblicazione di notizie passate, ma la loro continua disponibilità online, che crea un “eterno presente” in cui ogni azione, ogni errore, ogni momento di vita può essere perpetuamente accessibile.
Questa condizione mette a rischio l’identità personale, minacciando il diritto di ogni individuo a procedere nella vita senza essere perennemente definito da eventi passati.
La nostra vita online lascia tracce quasi indistruttibili. Ogni nostro passo su internet può diventare un ricordo permanente, accessibile con un semplice clic. Ma cosa succede quando vogliamo che certi capitoli della nostra vita vengano chiusi e dimenticati? Qui entra in gioco un concetto fondamentale: il diritto all’oblio.
In termini semplici, offre la possibilità di chiedere che link a contenuti quali articoli di giornale obsoleti, post di blog imbarazzanti o immagini compromettenti siano rimossi se non sono più rilevanti o sono fuorvianti.
Ciò è particolarmente significativo in casi dove le informazioni continuano a influenzare negativamente la reputazione di una persona nonostante siano passati anni.
Originariamente relativo ai media cartacei, è diventato cruciale nell’era digitale dove le informazioni sono facilmente accessibili.
Il diritto all’oblio mira a bilanciare l’interesse pubblico all’accesso alle informazioni con i diritti individuali alla privacy e al rispetto della vita privata.
È stato riconosciuto in Europa attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e successivamente integrato nel Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), in particolare nell’articolo 17 del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR).
Sul sito del Garante per la Protezione dei Dati Personali italiano, è spiegato che il diritto all’oblio si applica in diverse circostanze: quando i dati non sono più necessari rispetto agli scopi per cui sono stati raccolti, quando l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento e non vi sono altri fondamenti giuridici per il trattamento, quando i dati sono stati trattati illecitamente, e in altri casi specificati dalla legge.
La procedura per esercitare il diritto all’oblio prevede che l’interessato invii una richiesta specifica al titolare del trattamento dei dati. Il titolare deve poi rispondere senza ingiustificato ritardo e prendere le misure necessarie per cancellare i dati.
Per esercitare il diritto all’oblio, devono verificarsi tre condizioni specifiche: la presenza di dati personali nel contenuto, la mancanza di interesse pubblico prevalente e la non attualità delle informazioni.
Se i dati sono stati resi pubblici, il titolare deve informare gli altri che gestiscono tali dati della richiesta di cancellazione.
La richiesta deve essere valutata caso per caso, considerando l’interesse pubblico all’informazione e i diritti dell’individuo.
Non tutte le richieste sono automaticamente accolte; per esempio, le informazioni relative a figure pubbliche o eventi di significativo interesse pubblico possono essere escluse da questo diritto.
Il diritto all’oblio non è assoluto e deve essere bilanciato con altri diritti fondamentali, come la libertà di espressione e il diritto all’informazione.
La reputazione web, o web reputation, è diventata una componente critica dell’identità personale e professionale. Una notizia negativa o un’imbarazzante foto di molti anni fa può influenzare le opportunità di lavoro, le relazioni personali e persino la sicurezza personale.
la reputazione online di una persona non può essere ridotta a un punteggio generato da algoritmi.
La dignità umana, un valore cardine della protezione dei dati personali, non può essere quantificata o misurata.
Questo approccio è pericoloso non solo per i rischi legati alla qualità e all’autenticità dei dati raccolti, ma anche perché può portare a usi distorti delle informazioni, come diffamazione o lesioni alla reputazione.
In questo delicato contesto, come si può garantire che il diritto all’oblio non diventi un mezzo per riscrivere la storia o per occultare informazioni di interesse pubblico?
La risposta sta nel trovare un equilibrio operativo.
Le autorità giuridiche e i motori di ricerca lavorano insieme per stabilire criteri che considerino la rilevanza temporale dell’informazione, l’impatto sulla vita dell’individuo e l’interesse pubblico.
Ad esempio, un criterio potrebbe essere l’impatto sproporzionato che una vecchia notizia ha sulla vita attuale di una persona, superando il valore informativo per il pubblico.
Le decisioni devono essere prese caso per caso, con un processo trasparente che permetta un adeguato ricorso.
Ci sono limiti a questo diritto, come quando il trattamento è necessario per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e informazione, per l’adempimento di un obbligo legale, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, per fini di archiviazione nel pubblico interesse, o per la costituzione, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.
Le aziende hanno l’onere di rispettare questo diritto e devono adottare misure appropriate per garantire che le informazioni obsolete siano rimosse in modo efficace.
Questo può includere l’adozione di politiche interne e la formazione del personale sulle procedure da seguire in risposta alle richieste di rimozione
È importante notare che il diritto all’oblio non è assoluto e si scontra con altri diritti fondamentali come la libertà di espressione e il diritto all’informazione.
Pertanto, è essenziale trovare un equilibrio giusto tra i diversi interessi in gioco.
Il diritto all’oblio può essere esteso anche ad altre situazioni, come nel caso del “diritto all’oblio oncologico”. Questo diritto tutela i pazienti guariti dal cancro da discriminazioni nell’accesso ai mutui, nell’adozione di minori e nelle selezioni di lavoro. La legge sull’oblio oncologico è stata approvata all’unanimità in Italia e si applica a persone che sono state libere da recidive per più di 10 anni o dopo 5 anni nel caso in cui la patologia sia insorta durante l’infanzia.
Le linee guida dell’EDPB
Introduzione e Scopo delle Linee Guida sul Diritto all’Oblio
Le Linee Guida 5/2019, adottate il 7 luglio 2020, delineano i criteri per l’applicazione del diritto di essere dimenticato nei casi dei motori di ricerca in conformità con il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR).
Questo documento rappresenta un passo significativo nella comprensione e nell’applicazione del diritto all’oblio, offrendo una guida chiara sia per i motori di ricerca che per gli individui che desiderano esercitare questo diritto.
Le informazioni devono essere inadeguate, non pertinenti, eccessive o non più rilevanti rispetto agli scopi per cui sono state raccolte o successivamente trattate. Inoltre, il Garante sottolinea l’importanza della trasparenza e della correttezza da parte dei motori di ricerca nell’elaborare tali richieste.
L’Importanza del Diritto all’Oblio
Il diritto all’oblio permette agli individui di chiedere la rimozione di informazioni personali dai risultati di ricerca dei motori di ricerca.
Questo diritto è particolarmente rilevante in un’epoca dove le informazioni possono essere facilmente e permanentemente accessibili online, potenzialmente causando danni o disagi a lungo termine agli individui coinvolti.
Scopo delle Linee Guida
Le Linee Guida mirano a fornire una chiara interpretazione del GDPR in relazione ai motori di ricerca.
Si concentra sui criteri che devono essere soddisfatti per le richieste di rimozione e sul bilanciamento tra i diritti alla privacy degli individui e il diritto del pubblico all’accesso alle informazioni. Importante è il riconoscimento che ogni caso richiede una valutazione individualizzata, prendendo in considerazione i vari fattori e contesti associati a ciascuna richiesta di rimozione.
Con l’introduzione di queste linee guida, l’Unione Europea fa un passo avanti nel delineare i contorni del diritto all’oblio nel contesto digitale.
Questo non solo rafforza la protezione dei dati personali ma fornisce anche ai motori di ricerca parametri più chiari per il trattamento delle richieste di rimozione.
Tuttavia, l’equilibrio tra la protezione della
privacy individuale e il diritto alla libertà di informazione rimane un’area complessa e in continua evoluzione, che richiederà un monitoraggio e aggiustamenti costanti nel tempo.
Implicazioni per i Motori di Ricerca
Queste linee guida impongono ai motori di ricerca di adottare un approccio più meditato e caso per caso nella gestione delle richieste di rimozione, tenendo conto di una serie di fattori, tra cui la natura delle informazioni, l’interesse pubblico e l’impatto sulla vita dell’individuo.
Sfide e Prospettive Future
Sebbene le linee guida forniscono una struttura chiara, l’equilibrio tra la protezione della privacy individuale e la libertà di informazione rimane un’area complessa e in continua evoluzione.
Questo richiederà un monitoraggio costante e aggiustamenti nel tempo per assicurare che il diritto all’oblio sia applicato in modo giusto ed efficace.
Criteri per la Cancellazione dei Dati: Comprensione delle Linee Guida e del GDPR
Le Linee Guida 5/2019 offrono una panoramica dettagliata e fondamentale sui criteri per la cancellazione dei dati personali dai motori di ricerca, come previsto dall’articolo 17.1 del GDPR.
Queste linee guida rappresentano un passo significativo nel chiarire e nel definire il diritto all’oblio nell’era digitale, equilibrando la necessità di proteggere la privacy personale con il diritto pubblico all’accesso alle informazioni.
Articolo 17.1 del GDPR: Diritto alla Cancellazione dei Dati
L’articolo 17.1 del GDPR stabilisce il diritto degli individui di chiedere la cancellazione dei loro dati personali.
Questo articolo conferisce agli individui il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che li riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare i dati personali senza ingiustificato ritardo se sussiste uno dei seguenti motivi:
- I dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati.
- L’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento e non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento.
- L’interessato si oppone al trattamento e non esiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento, o si oppone al trattamento per finalità di marketing diretto.
- I dati personali sono stati trattati illecitamente.
- I dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro a cui è soggetto il titolare del trattamento.
- I dati personali sono stati raccolti in relazione all’offerta di servizi della società dell’informazione ai minori di età inferiore ai 16 anni, o età inferiore se previsto dallo Stato membro, fino a un minimo di 13 anni[1][2][6].
Le Linee Guida enfatizzano che le richieste di cancellazione devono essere valutate caso per caso, tenendo conto di vari fattori. Questi includono la natura delle informazioni, l’interesse pubblico, l’età dei dati e l’impatto sulla vita privata dell’individuo. La decisione di rimuovere o meno i dati dai risultati di ricerca dipende da un equilibrio delicato tra i diritti dell’individuo e l’interesse pubblico.
Eccezioni al Diritto alla Cancellazione
Importante è anche il riconoscimento delle eccezioni a questo diritto. Secondo le Linee Guida, ci sono situazioni in cui il diritto alla cancellazione dei dati può essere limitato.
Queste eccezioni includono casi in cui la conservazione dei dati è necessaria per motivi di libertà di espressione e informazione, per adempiere a un obbligo legale, per motivi di interesse pubblico, o per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.
Il Bilanciamento dei Diritti Fondamentali: Privacy, Protezione dei Dati e Libertà di Informazione
Le Linee Guida 5/2019, in particolare alla pagina 12, mettono in luce una delle questioni più delicate nel contesto del diritto all’oblio e della protezione dei dati personali: il bilanciamento tra i diritti fondamentali alla privacy e alla protezione dei dati con il diritto fondamentale alla libertà di informazione.
Questo equilibrio costituisce un fulcro nell’applicazione del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) e rappresenta una sfida significativa sia per i legislatori che per i motori di ricerca.
Il Contesto del Dilemma
Nell’era dell’informazione digitale, la diffusione e l’accessibilità delle informazioni personali hanno raggiunto livelli senza precedenti. Mentre il GDPR mira a proteggere i dati personali degli individui, esiste anche un diritto pubblico fondamentale all’accesso alle informazioni. Questa tensione tra privacy e libertà di informazione è al centro delle Linee Guida sul diritto all’oblio.
La Libertà di Informazione
D’altra parte, la libertà di informazione è un pilastro fondamentale di società democratiche aperte. Questo diritto sostiene il principio che il pubblico abbia accesso a informazioni rilevanti, comprese quelle su individui che possono avere un ruolo pubblico o essere coinvolti in questioni di interesse pubblico.
Il Bilanciamento dei Diritti
Il bilanciamento tra questi diritti non è una questione semplice.
Le Linee Guida suggeriscono che ogni caso deve essere valutato individualmente, considerando fattori come la natura delle informazioni, l’interesse pubblico coinvolto e l’impatto sulla vita privata dell’individuo.
I motori di ricerca, in particolare, devono navigare con attenzione in queste acque, bilanciando le richieste di rimozione dei dati con l’importanza di mantenere l’accesso pubblico alle informazioni.
Sfide e Prospettive
La sfida principale in questo contesto è garantire che i diritti degli individui alla privacy e alla protezione dei dati non vengano soffocati dalla libertà di informazione e viceversa.
Le decisioni prese in questo ambito hanno implicazioni profonde non solo per gli individui coinvolti ma anche per la società nel suo insieme.
La Cancellazione nei Risultati di Ricerca: Comprensione delle Linee Guida GDPR
Le Linee Guida 5/2019 del GDPR offrono un’analisi dettagliata sulle condizioni e i criteri per la cancellazione dei dati personali dai risultati dei motori di ricerca.
Come specificato nelle pagine 5 e 15 delle Linee Guida, queste disposizioni giocano un ruolo cruciale nel determinare quando e come i motori di ricerca debbano rimuovere i contenuti dai loro risultati, bilanciando i diritti individuali con interessi pubblici più ampi.
Criteri per la Rimozione dei Dati
Le Linee Guida stabiliscono criteri chiari per i motori di ricerca per valutare le richieste di rimozione.
Questi criteri includono la pertinenza e l’attualità delle informazioni, l’interesse pubblico, e l’impatto potenziale sulla vita privata dell’individuo.
Ad esempio, informazioni obsolete o inesatte possono essere considerate per la rimozione per proteggere la privacy dell’individuo.
La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Google Spain vs. AEPD e Costeja González del 2014
ha segnato una svolta, interpretando il diritto all’oblio come diritto alla deindicizzazione delle informazioni personali dai motori di ricerca.
Questo approccio non cancella l’informazione dalla rete, ma ne limita l’accessibilità, cercando un equilibrio tra la tutela della privacy individuale e il diritto del pubblico all’informazione.
Il caso è iniziato quando Mario Costeja González, un cittadino spagnolo, ha presentato un reclamo all’Agencia Española de Protección de Datos (AEPD), l’agenzia spagnola per la protezione dei dati, contro Google Spain e Google Inc.
Il reclamo riguardava il fatto che, digitando il suo nome su Google, apparivano nei risultati di ricerca link a due pagine del quotidiano La Vanguardia del 1998, che annunciavano una vendita all’asta di immobili a seguito di un pignoramento per la riscossione coattiva di crediti previdenziali nei suoi confronti.
L’AEPD ha respinto il reclamo diretto contro La Vanguardia, ma ha accolto il reclamo nei confronti di Google Spain e Google Inc., chiedendo alle due società di rimuovere i dati dai loro indici e di rendere impossibile in futuro l’accesso ai dati stessi.
Google Spain e Google Inc. hanno quindi presentato ricorso all’Audiencia Nacional (Spagna), chiedendo l’annullamento della decisione dell’AEPD.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, pronunciandosi il 13 maggio 2014, ha stabilito che la direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati personali si applica ai gestori di motori di ricerca, riconoscendo che questi ultimi svolgono un ruolo attivo che li rende “responsabili” del trattamento dei dati personali.
La Corte ha inoltre affermato che il gestore di un motore di ricerca deve rimuovere dai risultati di ricerca, su richiesta dell’interessato, i link a pagine web che contengono informazioni su di lui, a meno che ci siano motivi preminenti di interesse pubblico per avere accesso a tali informazioni.
Questa sentenza ha avuto un impatto significativo sulla definizione del diritto all’oblio, stabilendo un precedente importante per la protezione dei dati personali nell’era di internet. Ha inoltre contribuito a delineare le responsabilità dei gestori di motori di ricerca nel trattamento dei dati personali.
La lezione da trarre è chiara: la nostra identità online è preziosa e merita di essere protetta. Il diritto all’oblio digitale non è solo una questione legale, ma una questione di rispetto umano e dignità personale.
In un mondo sempre più connesso, la tutela della nostra reputazione digitale si conferma come una priorità non solo per gli individui, ma per l’intera società.
La sentenza n. 23771/2015 del Tribunale di Roma,
la sentenza emessa il 3 dicembre 2015, rappresenta un importante pronunciamento sul diritto all’oblio in Italia. Il caso riguardava un avvocato che aveva presentato un ricorso per richiedere la rimozione di informazioni personali dai risultati di ricerca di Google[4][8].
Il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso, sostenendo che il diritto all’oblio non era applicabile in questo caso specifico.
La sentenza ha ricostruito puntualmente tutti i principi applicabili al diritto all’oblio, come derivanti sia dalla nota sentenza della Corte di Giustizia dell’UE C-131/12 in materia, sia dalle Linee Guida interpretative dei principi in detta sentenza esplicitati, emanate dal Gruppo dei Garanti privacy UE ex art. 29 della Direttiva.
.Il ricorrente era un avvocato che aveva richiesto la rimozione di 14 link dai risultati di ricerca di Google, che apparivano quando si cercava il suo nome.
Questi link contenevano informazioni relative a presunte truffe e guadagni illeciti realizzati da un sodalizio criminale del quale risultavano fare parte esponenti della criminalità della cosiddetta banda della Magliana ed alcuni membri del clero
Il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso, sostenendo che il diritto all’oblio non era applicabile in questo caso specifico.
La sentenza ha ricostruito puntualmente tutti i principi applicabili al diritto all’oblio, come derivanti sia dalla nota sentenza della Corte di Giustizia dell’UE C-131/12 in materia, sia dalle Linee Guida interpretative dei principi in detta sentenza esplicitati, emanate dal Gruppo dei Garanti privacy UE ex art. 29 della Direttiva.
La sentenza ha respinto la richiesta di de-indicizzazione sulla base di due elementi fondamentali:
- L’assenza dell’elemento cronologico del trascorrere del tempo, in quanto le notizie oggetto del giudizio risalivano a 2013, essendo i fatti ancora attuali.
- Il ruolo “pubblico” esercitato dal ricorrente, dichiarando che esso deve intendersi attribuito non solo a politici o personaggi famosi, ma anche “agli uomini d’affari (oltre che agli iscritti in albi professionali)”.
Infine, il tribunale ha ribadito che l’azione nei confronti del motore di ricerca deve essere limitata all’indicizzazione dei risultati e non può estendersi al contenuto delle pagine web. In caso di contestazione del contenuto, l’interessato deve rivolgersi esclusivamente al proprietario e/o gestore del sito fonte dove tale informazione è pubblicata.
La sentenza ha stabilito che il diritto all’oblio non è automatico, ma deve essere bilanciato con altri diritti, come il diritto di cronaca e il diritto alla libertà di espressione.
Questo bilanciamento deve tenere conto di vari fattori, tra cui l’interesse pubblico delle informazioni e il ruolo pubblico della persona interessata.
Inoltre, la sentenza ha chiarito che il diritto all’oblio si applica principalmente ai motori di ricerca e non ai contenuti delle pagine web. Se una persona contesta il contenuto di una pagina web, deve rivolgersi al proprietario o al gestore del sito, non al motore di ricerca.
Infine, la sentenza ha contribuito a definire i criteri per l’applicazione del diritto all’oblio. In particolare, ha stabilito che il fatto che si intende “dimenticare” deve essere non recente e avere uno scarso interesse pubblico.
Questo diritto non è un semplice pulsante “cancella” per tutto ciò che non ci piace di noi su internet.
Per esercitarlo, bisogna dimostrare che le informazioni da dimenticare non sono recenti e che hanno uno scarso interesse pubblico. Inoltre, c’è sempre un bilanciamento da fare tra il diritto all’oblio, il diritto di cronaca e l’interesse pubblico.
La sentenza n. 36021 del 27-12-2023 della Corte di Cassazione
La sentenza n. 36021 del 27-12-2023 della Corte di Cassazione italiana si occupa del tema della “deindicizzazione” dei contenuti web dai motori di ricerca, in relazione al diritto all’oblio e alla protezione della riservatezza personale.
La Corte ha stabilito che, quando una biografia o informazione personale non è più attuale, i motori di ricerca devono procedere alla deindicizzazione di tale informazione.
Questo non significa che l’informazione venga cancellata dal web, ma che non sarà più immediatamente accessibile tramite i motori di ricerca, sebbene possa essere ancora raggiunta visitando direttamente il sito che la ospita
Il caso specifico riguardava una persona, indicata come XX nel documento, che aveva chiesto al Tribunale di Roma di accertare il suo diritto all’oblio in relazione a informazioni personali non più attuali.
La Corte di Cassazione ha ribadito l’importanza di bilanciare il diritto individuale all’oblio con l’interesse pubblico alla conoscenza, sottolineando che la deindicizzazione rappresenta una soluzione che rispetta la volontà dell’individuo di essere “dimenticato” per eventi passati, pur mantenendo la possibilità di accedere alle informazioni attraverso altri mezzi
Secondo la sentenza 36021/2023 della Corte di Cassazione, la “deindicizzazione” dei contenuti web dai motori di ricerca rappresenta un punto di equilibrio tra diversi interessi.
Questi includono la riservatezza personale, il diritto di ogni cittadino di conoscere l’identità di chi ha di fronte o a cui affida i propri figli.
La Corte ritiene che la deindicizzazione sia la soluzione ottimale per realizzare un bilanciamento sano, in risposta alla legittima richiesta di essere “dimenticati” riguardo a eventi del passato.
Questa soluzione esclude le estreme alternative di lasciare tutto invariato o cancellare completamente la notizia dal web, incluso il sito in cui è stata originariamente pubblicata.
Immaginate di avere una vecchia foto di voi in una situazione imbarazzante che qualcuno ha messo su Internet. Ogni volta che qualcuno cerca il vostro nome, quella foto spunta fuori. Non sarebbe bello se ci fosse un modo per far sì che quella foto non appaia più nei risultati di ricerca? Ecco, questo è un po’ il concetto di “deindicizzazione” di cui parla la Corte di Cassazione.
La Corte ha detto che trovare un giusto mezzo tra la privacy di una persona e il diritto degli altri di conoscere chi hanno vicino è importante.
La deindicizzazione è come dire al motore di ricerca (come Google) di smettere di mostrare quel vecchio link quando qualcuno cerca il vostro nome. Non è come cancellare completamente la foto da Internet, ma è come nasconderla agli occhi di chi fa una ricerca.
Per esempio, se anni fa sei stato coinvolto in un piccolo incidente che è finito su Internet, non vorresti che questa storia vecchia rovinasse la tua immagine per sempre, soprattutto se ora sei una persona cambiata e quell’evento non ti rappresenta più.
Chiedendo la deindicizzazione, quel vecchio articolo non sarebbe più uno dei primi risultati che saltano fuori quando qualcuno cerca il tuo nome su Internet.
La sentenza della Corte cerca di proteggere la tua storia personale senza nasconderla completamente, ma facendo in modo che non sia la prima cosa che le persone vedono di te online.
È un po’ come quando metti in ordine la tua stanza: non butti via i vecchi giocattoli, ma li metti in una scatola in soffitta, così non sono la prima cosa che si vede quando qualcuno entra.
Il caso esaminato
La Suprema Corte ha sottolineato l’importanza di bilanciare il diritto all’oblio di ogni individuo, che è strettamente legato ai diritti alla privacy e all’identità personale, con il diritto della collettività all’informazione.
In caso di pubblicazione su Internet di un articolo di interesse generale che lederebbe i diritti di un individuo che non è un personaggio pubblico noto a livello nazionale, è possibile richiedere la rimozione dell’articolo dagli elenchi dei motori di ricerca al fine di evitare un accesso facilitato e prolungato ai dati personali di tale individuo tramite l’uso di semplici parole chiave.
Questo potrebbe ledere il diritto dell’individuo a non essere costantemente associato a una “biografia telematica” che potrebbe differire dalla sua situazione attuale.
Valore della deindicizzazione
La deindicizzazione non comporta la rimozione delle informazioni dalla rete, ma ne limita l’accessibilità.
Le informazioni possono comunque essere trovate visitando il sito web sorgente o utilizzando diverse parole chiave per la ricerca.
Questo significa che la deindicizzazione influisce sulla durata e sulla facilità di accesso ai dati, non sulla loro conservazione su internet.
Quando si deindicizza un contenuto a partire dal nome di una persona, questo non compare più nei risultati di ricerca generati da quel nome, ma può comunque essere trovato utilizzando altri criteri di ricerca.
È importante sottolineare che la deindicizzazione non comporta la cancellazione completa dei dati personali, che devono comunque essere conservati sia sul sito di origine che nella cache del motore di ricerca.
L’equilibro tra diritto alla privacy e diritto all’informazione
In questo contesto, l’equilibrio tra il diritto della collettività di essere informata e di conservare la memoria storica, e il diritto del titolare dei dati personali di non subire un’impropria compressione della propria immagine sociale, può essere garantito assicurando la permanenza dell’articolo di stampa relativo a eventi passati oggetto di cronaca giudiziaria negli archivi informatici.
Questo a condizione che l’articolo venga deindicizzato dai siti web generalisti.
Anche solo rimuovendo l’articolo dai motori di ricerca, si può garantire la protezione del diritto a non essere esposti per un tempo indefinito a informazioni obsolete che possano danneggiare la reputazione e la privacy.
Questo equilibrio tra il diritto individuale e l’interesse pubblico alla conoscenza tiene conto anche del diritto di cronaca e della conservazione delle notizie per fini storico-sociali e documentaristici.
La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto all’oblio di un individuo, in relazione agli articoli che lo riguardano e che sono stati pubblicati in passato in modo legittimo nell’ambito del diritto di cronaca, critica o satira da parte di un giornale online, deve essere bilanciato con il diritto della comunità alla propria sicurezza.
La deindicizzazione si configura come una risposta equilibrata alle esigenze contrapposte della sfera privata e del diritto di cronaca.
In questo modo, la Corte di Cassazione riafferma l’importanza di un diritto all’oblio ponderato, che non sacrifichi la necessità di mantenere un corpo informativo integro e accessibile per questioni di rilevante interesse pubblico.
La sentenza si colloca pertanto come un punto fermo nel dibattito sulla privacy nell’era digitale, sottolineando la necessità di un approccio misurato e proporzionato nell’applicazione dei principi della protezione dei dati personali.