Introduzione
Viviamo in un’epoca storica unica nel suo genere, in cui fa da padrone un progresso tecnologico senza precedenti che, indubbiamente, sta comportando un miglioramento generalizzato della qualità di vita dell’essere umano ma, al contempo, presenta dei risvolti oscuri. Tutti gli straordinari servizi di cui usufruiamo gratuitamente online vengono regolati da contratti a prestazioni corrispettive, in cui l’obbligazione del provider è quella di fornire allo user il corretto godimento dei servizi digitali, mentre quella del consumatore consiste nel cedere i propri dati personali al service provider e nell’autorizzare quest’ultimo al trattamento di tali dati a fini commerciali. Sostanzialmente, volendo ricorrere a uno slogan ormai inflazionato, “se il prodotto è gratis, il prodotto sei tu”.
In qualità di cittadini consapevoli, dobbiamo renderci conto del fatto che ogni dispositivo connesso a internet è in grado di carpire migliaia di informazioni sensibili, il che non sarebbe di per sé un male, se si partisse dal presupposto secondo cui tutti i fornitori di servizi sono imprenditori virtuosi in grado di trattare tali dati conformemente alle normative di settore (nel nostro caso il GDPR). Eppure, sovente, a causa di data breach che comportano la diffusione in rete di milioni di dati sensibili, di trattamenti scorretti di informazioni personali ad opera di titolari o responsabili del trattamento o, ancora, di condotte dolose di singoli individui volte a ledere i soggetti interessati, informazioni compromettenti o sensibili finiscono per essere diffuse online, risultando comodamente accessibili a chiunque.
A tal proposito, l’apporto di Google e, in generale, dei grandi motori di ricerca, è stato dirimente nell’agevolare di molto il reperimento di qualsiasi informazione nel web e, di conseguenza, ha contribuito a farci vivere costantemente sotto alla luce dei riflettori internettiani, ingenerando in milioni di persone il desiderio di “sparire”, ossia di diventare irreperibili sulla rete internet. Dopotutto, a chi non è mai capitato di scrivere il proprio nome sulla barra di ricerca di Google e di voler eliminare almeno uno dei contenuti associati più o meno direttamente a quella query?
Il rimedio “salvifico” della deindicizzazione
Le suesposte questioni “problematiche” – e detta così pare un eufemismo – hanno interessato la Corte di Giustizia Europea già nel lontano 2014, anno in cui venne emanata la storica sentenza c.d. Google Spain. In tale contesto, i giudici di Lussemburgo, con una pronuncia rivoluzionaria e – forse fin troppo – tutelante dei diritti all’immagine e alla reputazione dei cittadini, ha statuito che (i) i gestori dei motori di ricerca sono a tutti gli effetti dei responsabili del trattamento dei dati personali ai sensi dell’art. 28 GDPR in quanto riordinano, catalogano e rendono agevolmente accessibili a chiunque miliardi di dati; (ii) i soggetti lesi da informazioni sensibili divulgate sui motori di ricerca hanno diritto a chiederne la deindicizzazione (c.d. delisting).
Ma cosa si intende per deindicizzazione?
Sostanzialmente si tratta di un rimedio volto a rendere meno agevole il reperimento dei dati personali online attraverso la “semplice” dissociazione del nome di un individuo – leso da una o più informazioni circolanti in rete – dai risultati prodotti dal motore di ricerca, senza tuttavia eliminare il contenuto nocivo. Dunque, come brillantemente spiegato dal professor Luciano Floridi, il dato rimane disponibile sul web (“available”) ma si rende molto più ostica la possibilità di accedervi (“less accessible”). Così facendo l’informazione controversa rimarrà comunque online, ma risulterà ben più difficile scovarla, quantomeno per l’utente medio (un po’ come se si trattasse di un mezzo per nascondere la polvere sotto al tappeto).
Quali sono gli aspetti positivi della deindicizzazione?
Questo rimedio, da tenere ben distinto dalla richiesta di cancellazione dei dati prevista dall’art. 17 GDPR, ha numerosi vantaggi che, spesso, lo rendono preferibile rispetto agli strumenti alternativi messi a disposizione dell’interessato, tra cui:
- Privacy: pur non trattandosi di un rimedio definitivo, in quanto il dato permane nella rete, si tratta comunque di uno strumento in grado di rendere inaccessibile l’informazione sensibile per la maggior parte degli utenti di internet, consentendo così di raggiungere efficientemente lo scopo cardine della disciplina sulla tutela dei dati personali, ossia la protezione dei diritti della personalità degli interessati, in particolar modo i diritti alla riservatezza e all’immagine.
- Semplicità: la richiesta di deindicizzazione può essere presentata direttamente dall’interessato o da un soggetto delegato al gestore del motore di ricerca mediante la compilazione, in pochi passaggi, di moduli molto intuitivi. Si tratta, dunque, di un rimedio alla portata di chiunque.
- Velocità: i gestori dei motori di ricerca prendono in carico le richieste e decidono nel giro di pochi giorni o, al massimo, qualche settimana. Dunque, si avrà una risposta quasi immediata o, comunque, molto più rapida rispetto alle tempistiche richieste per esporre un reclamo all’Autorità Garante o, a maggior ragione, per instaurare un giudizio ordinario.
E gli aspetti svantaggiosi?
Ovviamente non è tutto oro quel che luccica e anche questo rimedio, per quanto utile e prezioso sia, ha degli aspetti negativi da tenere in considerazione:
- Precarietà: chiunque con un minimo di competenza informatica e munito di pazienza, attraverso delle ricerche accurate, potrà sicuramente scovare i dati personali deindicizzati; dunque, la deindicizzazione risulta essere uno strumento utile ma, come detto, non definitivo.
- Discrezionalità: il vaglio sulla meritevolezza o meno della domanda presentata viene svolto internamente da dipendenti dei motori di ricerca che operano secondo delle linee guida non sempre trasparenti. È dunque possibile che una domanda venga rigettata senza che se ne comprenda a pieno il motivo, con la conseguente necessità di ricorrere ai rimedi ordinari.
- Costi: i gestori dei motori di ricerca, dovendosi sobbarcare questo ruolo di “giudice di prima istanza” con riferimento alle richieste di deindicizzazione, sostengono dei costi molto elevati ed indubbiamente indesiderati.
Google e la deindicizzazione
Poiché Google è, ad oggi, il motore di ricerca più utilizzato al mondo, di seguito ci soffermeremo sulle modalità mediante cui è possibile richiedere gratuitamente a quest’ultimo di deindicizzare i dati personali ritenuti lesivi od obsoleti. Prima, tuttavia, conviene dare qualche informazione di contorno per permettere di comprendere le modalità con cui Google si pronuncia sulla meritevolezza delle richieste che gli pervengono, nonché la reale portata di questo strumento fondamentale.
Google e il vaglio sulla fondatezza delle richieste di deindicizzazione
Il colosso di Mountain View, per vagliare la fondatezza o meno di una richiesta di deindicizzazione, prende prevalentemente a riferimento delle fonti di c.d. soft law, ossia: (i) le linee guida sull’implementazione della sentenza Google Spain del “Gruppo di lavoro articolo 29”, (ii) le linee guida del comitato europeo per la protezione dei dati e (iii) la prassi giuridica della Corte di giustizia europea.
Nello specifico, i revisori di Google, prima di decidere su un’istanza di deindicizzazione, valutano accuratamente i seguenti fattori:
- Visibilità o ruolo pubblico ricoperto dall’utente: le figure pubbliche quali, ad esempio, politici, celebrità, dirigenti aziendali, autorità, ecc., a causa della propria posizione sociale, godranno di una tutela affievolita. Difatti, in questi casi, per procedere con la deindicizzazione sarà necessario valutare se e in che misura i dati oggetto dell’istanza sono collegati con la funzione pubblica ricoperta. Maggiore sarà il grado di colleganza dell’informazione col ruolo a rilevanza pubblica dell’interessato, minore la probabilità che questa venga deindicizzata.
- Fonti delle informazioni e interesse pubblico: qualora i dati siano contenuti in un sito autorevole (es. in un sito governativo o sul sito di una testata giornalistica rilevante) e soddisfino un interesse pubblico (es. il diritto ad essere informati), la richiesta di deindicizzazione verrà quasi sempre rigettata e, di conseguenza, per ottenere tutela sarà necessario proporre reclamo all’Autorità garante ovvero adire l’Autorità giudiziaria ordinaria.
- Attualità dei contenuti: fondamentale è la valutazione sulla pertinenza e l’attualità dei contenuti oggetto della richiesta. Qualora le informazioni risultino evidentemente obsolete, in quanto datate o, comunque, smentite da informazioni più recenti, sarà molto più probabile ottenere la deindicizzazione dei dati.
- Effetto sugli utenti di Google: si valuta l’interesse che la ricerca collegata al nome dell’utente produce con riferimento agli utenti medi di Google. Ad esempio, qualora l’interessato sia un soggetto esercente un’attività professionale, è molto improbabile che questi potrà ottenere la cancellazione di una recensione negativa nei suoi confronti, essendo la conoscenza sulla qualità del servizio offerto un diritto dei potenziali clienti futuri.
- Veridicità delle informazioni: Google non è in grado di valutare la veridicità o meno delle informazioni contenute nel motore di ricerca; pertanto, sarà onere dell’istante provare che i dati oggetto di contestazione non sono attendibili.
- Dati sensibili: viene valutato anche il carattere sensibile dei dati contestati tra cui, ad esempio, l’orientamento sessuale, il gruppo etnico, la religione e lo stato di salute di un individuo. In questo caso Google sembra rifarsi in toto all’elenco dei dati di categorie particolari contenuto nell’art. 9 del GDPR.
- Misure alternative: infine, le istanze possono venire rigettate qualora gli operatori di Google reputino che il medesimo risultato possa ottenersi impiegando delle misure alternative.
Qualche dato statistico
Lo strumento della deindicizzazione, dall’emanazione della sentenza Google Spain ad oggi, ha visto un ampio utilizzo: nello specifico, come delineato nel report sulla trasparenza di Google, in Europa sono state presentate 1.621.976 richieste di deindicizzazione afferenti a ben 6.337.244 URL; tuttavia, solo il 50,5% degli URL è stato rimosso, il che mette in luce la grande discrezionalità con cui Google decide su quali istanze siano o meno meritevoli di essere accolte e, al contempo, la grande isteria di massa che, in un certo senso, si sta creando con riferimento alle nostre “identità digitali” che spesso consistono in una raffigurazione frammentaria e parziale delle nostre identità fisiche e su cui vorremmo esercitare – senza successo – un controllo totale.
L’Istanza di deindicizzazione di Google
I dati di cui si può richiedere la deindicizzazione, conformemente a quanto statuito dall’art. 4 del GDPR, sono tutte le informazioni riguardanti una persona fisica identificata o identificabile. Dunque, a titolo esemplificativo, si potrà presentare l’istanza in oggetto per far “sparire” dalla rete:
- Informazioni personali afferenti a dati anagrafici (nome, indirizzo, numero di telefono);
- Contenuti diffamatori od obsoleti (es. un articolo di giornale riguardante una persona identificata o identificabile);
- Informazioni sensibili (dati finanziari, sanitari, ecc.).
Una volta identificati con precisione i dati in questione si potrà procedere personalmente, oppure delegando un rappresentante (ad esempio un legale di fiducia esperto in materia di privacy), con la compliazione dell’istanza. Google, a tal proposito, mette a disposizione degli utenti residenti nell’Unione europea un modulo di richiesta di rimozione, reperibile al seguente link: https://reportcontent.google.com/forms/rtbf.
Come si compila ed invia il Modulo?
Il modulo va compilato fornendo a Google in modo preciso e puntuale una serie di dati ed informazioni riguardanti l’interessato e il contenuto che si vuole deindicizzare, tra cui:
- selezione del Paese la cui Legge è applicabile al caso concreto (generalmente il Paese di residenza del richiedente);
- i dati personali dell’interessato (nome, cognome, email) o, se del caso, del soggetto che agisce in rappresentanza dell’interessato, specificando il rapporto intercorrente tra quest’ultimo e il suo rappresentante (es. clientela, parentela, amicizia, ecc.);
- l’indirizzo URL che rimanda alle informazioni di cui si sta chiedendo la rimozione;
- il chiarimento sulla correlazione intercorrente tra i dati controversi e l’interessato, nonché l’adduzione delle motivazioni giuridiche e fattuali su cui si fonda tale richiesta. In questa fase – molto delicata – si consiglia di farsi assistere da un soggetto esperto in materia;
- l’indicazione del nome che, se utilizzato come query di ricerca, restituisce i risultati di cui si sta chiedendo la deindicizzazione;
- l’accettazione del trattamento dei propri dati personali ad opera di Google per l’elaborazione della richiesta e l’adempimento degli obblighi di legge ad essa connessi;
- data e firma del richiedente.
Una volta inviato il modulo, Google esaminerà la richiesta associandola a un numero identificativo. L’utente riceverà una email istantanea in cui verranno ricapitolati gli estremi dell’istanza e, qualora questa dovesse superare il vaglio degli operatori, seguirà la deindicizzazione dei contenuti oggetto della domanda. Dopo l’eventuale deindicizzazione dei contenuti si consiglia comunque monitorare i risultati di ricerca per assicurarsi che la “rimozione” sia stata effettuata correttamente.
Conclusione
Come si è detto, il mezzo della deindicizzazione è indubbiamente molto efficiente ed efficace, specie data la rapidità dei tempi di risposta dei soggetti incaricati e la “discreta” probabilità di vedersi tutelati senza dover sostenere spese legali eccessive e lunghi procedimenti amministrativi o giudiziari. Tuttavia, vi sono delle problematiche non indifferenti insite nell’impiego di questo strumento e legate soprattutto al fatto che (i) è una società privata a sobbarcarsi il ruolo di “giudice di prima istanza” delle richieste di deindicizzazione e (ii) si tratta comunque di uno strumento parziale, che, in rari casi, potrebbe non essere la risposta definitiva ai problemi dell’interessato.
Ad ogni modo, nel caso di rifiuti immotivati dell’istanza ovvero di persistenza delle problematiche che hanno dato origine alla necessità di ricorrere a questo strumento, consigliamo di rivolgersi a professionisti qualificati che possano assistervi in maniera oculata sotto il profilo giuridico, ad esempio predisponendo un reclamo dinnanzi all’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.