Licenziamento: L’obbligo di repêchage basato sulle capacità individuali
L’Ordinanza n. 31561/2023 della Corte di Cassazione ha affrontato una questione delicata e di notevole rilevanza nel panorama giuridico-lavorativo italiano, ovvero l’obbligo di repêchage.
Nel caso specifico trattato dall’Ordinanza, una cassiera di un bar è stata licenziata a seguito della chiusura temporanea dell’attività per un incendio.
Successivamente, al momento della riapertura, l’attività è stata riorganizzata e la posizione di cassiera non era più disponibile.
La Corte ha stabilito che, in caso di soppressione del posto di lavoro a seguito di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale, la lavoratrice avrebbe dovuto essere “ripescata” in un ruolo compatibile con le sue capacità.
Ad esempio, secondo l’ordinanza n. 31561/2023 della Cassazione, la cassiera di un bar potrebbe essere assegnata al ruolo di cameriera ai tavoli nel caso di soppressione del posto di lavoro a seguito di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale.
Questa decisione ha rilevanti implicazioni per le dinamiche lavorative, in particolare in situazioni in cui un’azienda subisce modifiche sostanziali nella sua organizzazione. In tali circostanze, l’obbligo di repêchage impone all’azienda di valutare attentamente le competenze dei lavoratori e di cercare di reinserirli in posizioni compatibili, prima di procedere con eventuali licenziamenti. Il rispetto dell’obbligo di repêchage implica una valutazione delle capacità specifiche del singolo lavoratore licenziato.
Per rendere legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non è sufficiente solo la soppressione del posto di lavoro di una cassiera fissa in un noto bar del centro di Roma.
È necessario anche considerare il fatto che siano stati assunti nuovi dipendenti, anche se con ruoli diversi come ad esempio camerieri.
È sempre richiesta infatti una valutazione specifica.
Nel valutare l’incapacità professionale del dipendente licenziato nel svolgere le mansioni assegnate ai neoassunti, è necessario considerare le circostanze oggettivamente verificabili fornite dal datore di lavoro, tenendo conto delle specifiche condizioni e dell’intera storia professionale del dipendente in questione.
In particolare, è fondamentale fornire prove concrete che dimostrino che la lavoratrice licenziata non fosse in grado di svolgere nessuno dei ruoli per i quali sono state assunte dieci figure professionali.
Non è sufficiente basarsi su massime di esperienza generiche che non forniscono informazioni sulla capacità specifica della ricorrente, e non di una cassiera in generale, di svolgere i compiti per i quali altri sono stati assunti.
L’Ordinanza n. 31561/2023 rappresenta dunque un importante precedente giurisprudenziale in materia di diritto del lavoro, che merita un’attenta riflessione da parte degli operatori del settore.
Illegittimo il licenziamento se il lavoratore può essere impiegato in un altro punto vendita
La Corte ha stabilito che il licenziamento di un lavoratore è illegittimo se esiste la possibilità di impiegarlo in un altro punto vendita dell’azienda. Questa decisione ha importanti implicazioni per le dinamiche lavorative, in particolare in situazioni in cui un’azienda decide di chiudere uno o più punti vendita.
La chiusura da sola non è una giustificazione sufficiente per il licenziamento, poiché l’attività non era l’unico obiettivo dell’azienda, dato che c’erano altri punti vendita in cui la lavoratrice avrebbe potuto essere impiegata.
Pertanto, non esiste una connessione diretta tra il motivo addotto e il recesso comunicato.
La chiusura del punto vendita non ha automaticamente reso il lavoro della dipendente inutile al punto da giustificare la soppressione del suo posto.
È importante notare che altri colleghi con mansioni equivalenti sono stati ricollocati con successo presso altre sedi o assegnati ad altri supermercati del gruppo.
Di conseguenza, in caso di manifesta mancanza di una base valida per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, si applica la reintegrazione nel posto di lavoro e un’indennità risarcitoria, anche se limitata a un massimo di dodici mensilità, come previsto dall’articolo 18, comma quarto dello Statuto dei Lavoratori.
L’obbligo dell’azienda di valutare la possibilità di trasferire il lavoratore in un altro punto vendita prima di procedere con il licenziamento rappresenta un importante riconoscimento dei diritti dei lavoratori. Questa decisione rafforza il principio che il licenziamento dovrebbe essere l’ultima opzione considerata dall’azienda, dopo aver esplorato tutte le possibili alternative.
non si può licenziare per ragioni di risparmio senza indicare perchè la scelta cade su quel dipendente
In materia di lavoro, è illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, fondato su esigenze di risparmio, se non viene indicato perché la scelta cade su uno specifico dipendente. L’impresa, infatti, deve prendere in considerazione anche altre posizioni che hanno ruoli comparabili.
È illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, fondato su esigenze di risparmio, se non viene indicato perché la scelta cade su uno specifico dipendente.
L’impresa, infatti, deve prendere in considerazione anche altre posizioni che hanno ruoli comparabili.
Lo ha ricordato la Cassazione che ha accolto il ricorso del dipendente di una fondazione.
La corte d’appello aveva confermato la decisione del tribunale che aveva respinto l’impugnazione proposta contro il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
La controversia è così giunta in Cassazione dove il lavoratore ha contestato la decisione deducendo l’inesistenza del nesso di causalità tra esigenza produttiva e organizzativa.
La Suprema Corte ha accolto la domanda, rilevando che la decisione di secondo grado ha stabilito che il licenziamento del lavoratore era necessario per raggiungere risparmi nel settore lavorativo, dopo aver accertato il passivo di bilancio.
Tale affermazione tuttavia si rivela tautologica e ingiustificata posto che non si comprende da quali elementi di giudizio la corte d’appello abbia ricavato che le esigenze di contrazione dei costi dovessero limitarsi a un determinato settore lavorativo piuttosto che a un altro.
Non risulta perciò correttamente accertato che i costi da ridurre dovessero essere necessariamente quelli di una categoria e riguardare quindi la posizione di lavoro rivestita dal ricorrente.
La corte d’appello, inoltre, ha rigettato le osservazioni del lavoratore concernenti la mancata soppressione di altro e più costoso posto di lavoro perché si sarebbe trattato di scelte datoriali insindacabili.
Se è stata ipotizzata una generale necessità di contenimento dei costi, è necessario approfondire le ragioni per cui la scelta è caduta su quel determinato lavoratore e prendere in considerazione altre posizioni di lavoro, soprattutto se si trattava di ruoli comparabili.
In sostanza, quando un datore di lavoro decide di licenziare un dipendente per ragioni legate alla riduzione dei costi, questa decisione deve essere basata su motivi reali e concreti. Ciò significa che deve essere dimostrato che la soppressione del posto di lavoro è una conseguenza necessaria della strategia di riduzione dei costi.
Tuttavia, questa valutazione non deve interferire in modo improprio con la libertà del datore di lavoro di prendere decisioni riguardo alla gestione dell’azienda. Se la motivazione economica fornita per il licenziamento non è valida o reale, ciò può influire sulla legalità del licenziamento stesso.