Cass. Sez. Lav. ord. 6 novembre 2023, n. 30866
LA MASSIMA
Licenziamento in area soggettiva – gravità e proporzionalità della condotta – attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito – riserva – sussiste
In tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, con la quale viene riempita di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.
Il Diritto di Critica nel Lavoro: Equilibrio tra Espressione e Dovere di Fedeltà
Il diritto di critica può ritenersi legittimo ove esercitato nel rispetto dei canoni di pertinenza e continenza, formale e sostanziale.
In particolare, la critica deve rispondere ad un interesse meritevole di tutela del lavoratore e, quindi, concernere direttamente o indirettamente le condizioni del lavoro o sindacali (pertinenza), deve conformarsi nell’esposizione a canoni di correttezza, misura e civile rispetto della dignità del datore di lavoro senza eccedere nell’attribuzione di qualità apertamente disonorevoli, in affermazioni ingiuriose ovvero in offese meramente personali (continenza formale) e, ove consista nell’attribuzione al datore di lavoro di determinati fatti, deve rispondere a verità, quanto meno secondo il prudente apprezzamento soggettivo del lavoratore (continenza sostanziale).
Il superamento di tali limiti, anche uno solo di essi, rende la condotta lesiva dell’onore datoriale non scriminata dal diritto di critica e suscettibile di rilievo disciplinare , in quanto contraria al dovere di fedeltà sancito dall’art. 2105 c.c.
Il diritto di critica oggi
In un’epoca in cui la libertà di espressione si scontra frequentemente con i diritti altrui, il diritto di critica nel rapporto di lavoro assume una rilevanza particolare. Questo diritto, tuttavia, non è assoluto e trova delle limitazioni specifiche nell’ordinamento giuridico italiano, in particolare nell’articolo 2105 del Codice Civile che sancisce il dovere di fedeltà del lavoratore nei confronti del datore di lavoro.
Pertinenza e Continenza: I Canoni del Diritto di Critica
Il diritto di critica deve essere esercitato nel rispetto dei canoni di pertinenza e continenza, sia formale che sostanziale. La critica è legittima quando è strettamente legata alle condizioni di lavoro o alle questioni sindacali, rispondendo quindi ad un interesse meritevole di tutela (pertinenza). Inoltre, deve essere espressa con correttezza e misura, rispettando la dignità del datore di lavoro e evitando affermazioni disonorevoli o ingiuriose (continenza formale).
Conflitto con il Dovere di Fedeltà
Il superamento dei limiti di pertinenza e continenza può rendere la condotta del lavoratore contraria al dovere di fedeltà, con possibili conseguenze disciplinari.
L’articolo 2105 del Codice Civile chiarisce che il lavoratore deve astenersi da comportamenti che possano danneggiare l’impresa. Pertanto, una critica ingiustificata o esercitata in modo lesivo può costituire una violazione di tale dovere.
Quando però il dipendente venga a conoscenza di fatti illeciti in ragione dell’esecuzione del contratto di lavoro, questi ha il diritto – che si configura anche come dovere civico – di denunciare tali fatti all’autorità giudiziaria competente, con la conseguenza che dinanzi ad una simile denuncia il datore di lavoro non può dogliarsi della violazione dell’obbligo di fedeltà e dunque sanzionare disciplinarmente il lavoratore.
La Verità come Fondamento della Continenza Sostanziale
Quando la critica implica l’attribuzione di determinati fatti al datore di lavoro, essa deve essere veritiera o, almeno, corrispondere al prudente apprezzamento del lavoratore (continenza sostanziale). La diffusione di informazioni false o l’eccessiva esagerazione possono trasformare un’espressione legittima in un atto lesivo dell’onore e della reputazione professionale.
Tale speciale protezione per il dipendente-denunciante viene meno solo quando sia accertato che la denuncia era infondata e calunniosa e sempre che questi non abbia divulgato il contenuto della segnalazione a terzi non autorizzati.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la condotta del lavoratore che denuncia fatti di reato commessi dal datore di lavoro non costituisce giusta causa di licenziamento, a meno che non sia dimostrato che la denuncia era calunniosa e che il lavoratore abbia cercato di dare pubblicità alla sua segnalazione. [1] (Cass. n. 11375/2017).
La diffusione mediatica e il diritto di critica
La giurisprudenza di merito ha stabilito che, nel caso in cui un lavoratore denunci il datore di lavoro e diffonda pubblicamente i fatti denunciati, affinché tale condotta sia considerata legittima, è necessario rispettare i limiti imposti dalla legge su un altro diritto correlato alla denuncia, ovvero il diritto di critica.
Affinché la critica del lavoratore sia considerata corretta, è importante che venga espressa in modo che non offenda la dignità del datore di lavoro, che sia basata su fatti veritieri e che sia di interesse pubblico rilevante, in modo tale da giustificare la sua divulgazione alla collettività.
I fatti
Con una pronuncia conforme da parte della Corte d’Appello di Caltanisetta e del Tribunale di Enna, è stato confermato il licenziamento di un lavoratore avvenuto nel gennaio 2016.
Secondo i giudici, il lavoratore aveva presentato denunce e querele che, sebbene fossero un diritto di ogni cittadino, non potevano essere utilizzate per scopi diversi da quelli per cui tale diritto è previsto.
La Corte d’appello di Caltanisetta ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento, rilevando che sussistevano gli addebiti mossi al lavoratore.
In particolare, il lavoratore era stato accusato di aver denunciato un’indebita appropriazione del TFR, presentando informazioni non veritiere in modo intenzionale.
Questo comportamento è stato considerato incompatibile con la fiducia che dovrebbe caratterizzare ogni rapporto di lavoro e ha quindi costituito una giusta causa di recesso, indipendentemente dalla presenza di un danno.
In particolare, la denuncia per appropriazione indebita del Trattamento di Fine Rapporto presentata dal lavoratore nei confronti del legale rappresentante dell’azienda, nonostante fosse consapevole della sua infondatezza, ha determinato una lesione del rapporto fiduciario tale da rendere impossibile la prosecuzione temporanea del rapporto di lavoro (art. 2119 cod. civ.).
La condotta posta in essere dal lavoratore, proprio per essere connotata dall’elemento soggettivo del dolo, risulta pertanto, nella ricostruzione delle corti siciliane, ontologicamente incompatibile con l’elemento fiduciario anche a prescindere dalla causazione effettiva di un danno in capo al soggetto denunciato (tant’è che, nel caso di specie, la denuncia era stata definitivamente archiviata).
Il ricorso avanti la Corte di Cassazione e la relativa decisione
Purtuttavia, anche a fronte della doppia soccombenza nei giudizi di merito e dell’archiviazione della denuncia per quanto riguarda il fronte penale, il lavoratore proponeva ricorso avanti la Suprema Corte di Cassazione, affidandolo ai seguenti tre motivi di diritto: amo del servizio».
La Suprema Corte rigettava il ricorso, ritenendo che l’esercizio del potere di denuncia (quale “vertice” del diritto di critica, con i relativi limiti, temperamenti e contrappesi) da parte del lavoratore verso il datore di lavoro non può in ogni caso essere attuato in maniera distorta e per motivi che evidentemente esorbitano dalla reale tutela dei propri diritti, configurando infatti tale ipotesi una palese violazione del principio di buona fede.
Detto principio, infatti, inserito nel Codice Civile sia nella parte relativa alle obbligazioni e al loro adempimento (art. 1175 cod. civ.), sia nella parte relativa al contratto (anche il contratto di lavoro) e alla sua esecuzione (art. 1375 cod. civ.), e la sua mancata osservanza, anche e soprattutto rispetto al diritto di critica verso il datore di lavoro, per giurisprudenza costante, è suscettibile di ledere il vincolo fiduciario inter partes
Una condotta che strumentalizza la denuncia può costituire una violazione del dovere di fedeltà previsto dall’articolo 2105 del codice civile, in quanto contrasta con gli obblighi derivanti dall’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e può danneggiare irreparabilmente il rapporto di fiducia. Di conseguenza, tale comportamento può costituire una giusta causa di licenziamento.